Una parola oramai in disuso, quasi mai la si sente più pronunciare. Molto più semplice e rapido ricomprare, molto più inebriante buttare per riacquistare. Meglio allora creare colline di rifiuti, ai confini delle città oppure nei paesi degli ultimi.
Riparazione invece è una parola assai cara, qui da noi. Potevamo distruggere per poi rifare, avremmo rifatto prima e speso meno, soldi e fatica.
Invece abbiamo deciso di fare qualcosa di diverso. Di riparare.
Gli interni delle camere, ad esempio, sono un campionario di riparazioni, dalle pareti agli oggetti, dalle tavelle ai tavoli. Non abbiamo buttato in pratica niente, abbiamo rimosso, ripulito e rimesso quello che c’era. Abbiamo recuperato vecchi oggetti e riposto gli stessi al loro posto originale. Ma sarebbe più giusto in realtà parlare di riparazione. Più corretto, forse.
“l’Italia alla manutenzione preferisce l’inaugurazione”. (Leo Longanesi)
Si possono riparare tante cose, magari sul momento uno non ci pensa.
Si riparano le scarpe, le offese, i danni, i torti. Uno può ripararsi dal freddo, dai guasti, dalle prepotenze. Riparano gli esuli, i migranti, i dissidenti in paesi più disponibili al dialogo e alla solidarietà (se esistono ancora).
Pure le strutture esterne sono state oggetto di recupero, di riparazione, di rimessa in vita.
Pietre, pavimenti, cornici, tutti hanno incontrato una nuova vita. Tutte le cose si riparano a mano, nessuna macchina potrà mai farlo come le nostre mani. E tutte le cose devono ritrovare il giusto riparo, dal tempo e dalla pioggia, dall’usura e dalla scarsa attenzione.
“La libertà va tenuta in continua manutenzione”. (Ennio Flaiano)